Pippa Bacca

L’8 marzo del 2008 due artiste, Pippa Bacca e Silvia Moro partono da Milano per affrontare il loro progetto ‘Sposa in viaggio’. Per Pippa Bacca sarebbe stata la sua ultima performance e il suo ultimo viaggio.

Ho avuto modo di conoscere meglio il lavoro di questa artista grazie ad un bellissimo docufilm uscito lo scorso anno ‘Sono innamorato di Pippa Bacca’ di Simone Manetti. Nel film c’è tutto il racconto con i video originali del viaggio delle due artiste e molte interviste a chi la conosceva bene come la famiglia e il fidanzato che con tanta speranza l’aveva accompagnata in vespa al primo casello autostradale di Milano, dando inizio al suo cammino. Le due artiste dovevano attraversare 11 paesi dei Balcani in autostop vestite da spose, la meta era Gerusalemme, che rappresentava il simbolo della pace. Avevano programmato tutto, ad ogni tappa Pippa andava dalle ostetriche dell’ospedale del luogo per lavare loro i piedi e asciugandoli con la mantellina del suo abito. Un omaggio a quelle donne che anche in mezzo alla guerra e alla morte erano in grado di dare aiuto alla vita. Mentre invece Silvia Moro regalava delle bamboline fatte da lei all’uncinetto tra una tappa e l’altra. L’autostop era per loro la fiducia,  l’essere accolti dal prossimo e la dimostrazione che esisteva ancora l’aiuto e la fratellanza tra sconosciuti. Il vestito da sposa invece figurava il ricongiungimento di pace tra le varie nazioni che volevano attraversare e che avevano passato anni di guerra. Arrivate ad Istanbul decidono di dividersi per un po’, perché in quel momento le loro motivazioni si erano allontanate, per poi rincontrarsi dopo pochi giorni a Beirut. Non si incontrarono mai più perché Pippa Bacca fu violentata ed uccisa a Gebze, da un uomo che le aveva dato un passaggio in auto. Una volta segnalata la sua scomparsa ci fu un grande movimento di aiuto e ricerca per trovarla, sia dalle autorità italiane che da quelle turche, la ritrovarono morta l’11 aprile,  il suo assassino preso e condannato all’ergastolo. ‘Perdonaci Pippa’ titolarono alcuni dei nostri maggiori quotidiani, perdona la fiducia mancata.

‘Il viaggio è da sempre un mezzo ed un fine, è una scelta di vita o per alcuni l’unico modo possibile di vivere; è la metafora della vita stessa.’ (Dal comunicato stampa diffuso da Pippa e Silvia in partenza l’8 marzo 2008.)

Giuseppina Pasqualino di Marineo ( Milano 9 dicembre 1974 – Gebze 31 marzo 2008) era il suo vero nome, Pippa Bacca era uno dei suoi alter ego: Pippa Pasqualino di Marineo; Eva Adamovich,  curatrice della Fondazione Pippa Bacca e manager delle Bubble Gum; e per ultimo ‘il coniglio verde’ che era una supereroina. Il verde era l’unico colore con il quale si vestiva tutti i giorni, era seria concreta rigorosa, caotica e stravagante.

‘Il suo lavoro è stato vincente e lei ha lasciato una traccia perché ha vissuto non ha sopravvissuto.’

Così la madre di  Giuseppina parla di lei nel film di Manetti. Fa anche un breve racconto di quella che è stata l’infanzia di questa ragazza, vissuta in una famiglia di sole donne. Elena Manzoni, la madre di Pippa, è la sorella del grande artista Piero e dopo aver sposato Guido Pasqualino di Marineo e dopo cinque figlie si separa dal marito, crescendo le bambine da sola. Le veste tutte uguali ‘per non perderle’ e con loro inizia a fare viaggi prima con un furgone poi una volta rotto iniziano a fare le loro vacanze in autostop. Sei donne ‘un neurone solo’ così amavano definirsi.

‘Ho viaggiato anchio tanto in autostop, il miglior modo per conoscere i luoghi e le persone. E Pippa lha imparato da me’

Questa cosa dell’autostop è stata la prima che mi ha incuriosito nella storia di questa artista, una pratica così ormai poco usata e fuori moda in questa società di individualismo perseverante. Ma la storia della sua famiglia me lo spiega bene.

Si tratta di un atto di speranza e di affidamento al prossimo insieme alla gioia di vivere e di farlo sempre in mezzo alla gente, queste sono le nozioni che Pippa acquisisce come modo di vita. Amava parlare con le persone, tutte avevano qualcosa che per lei era conoscenza.

Nelle sue opere c’era una forte spinta comunicativa e di relazione con il pubblico, dove mette in primo piano il coinvolgimento della donna.

‘Sono innamorato di Pippa Bacca, chiedimi perché?’ nasce da una miriade di spillette che Pippa aveva fatto realizzare con questa scritta. Questo perché si era innamorata di un ragazzo e quando lui la lasciò, lei per esorcizzare la sua delusione regalò queste spille ad amici e parenti o anche sconosciuti, con l’idea che prima o poi questo ex fidanzato potesse vederle attaccate sul petto di qualcuno.

Per Giuseppina tutto aveva un senso, ogni suo lavoro ogni suo gesto erano parte di un  grande programma. Come in ‘Sposa in viaggio’, dove per due anni aveva studiato e concepito ogni piccolo spostamento, creato contatti e collegamenti per l’ospitalità. Costruito il suo abito come una vera sposa (perché quell’abito non si può usare solo il giorno del matrimonio), fatto all’uncinetto la fascia per i capelli, il velo e le scarpe bianche con il tacco. Tutto pronto per la sua lunga performance piena di sensibilità e di generosità verso il prossimo e verso se stessa. Le foto da lei realizzate durante il lungo percorso lo testimoniano così come poi ce lo racconterà la sua telecamera, con la quale aveva ripreso gran parte dei suoi incontri. Dalle chiaccherate con le donne,  alle sue domande alle ostetriche, ai lavaggi del suo vestito, fino agli automobilisti che le facevano salire in macchina per i passaggi. Quella stessa telecamera che poi il suo assassino le ruberà insieme al suo telefono, e con la quale lui il giorno dopo averla uccisa, riprenderà la festa di matrimonio di una sua parente. Così dopo l’arresto di questo chiamiamolo uomo, furono recuperati anche tutti i filmati da lei fatti vestita da sposa e con alla fine un matrimonio ripreso da chi l’aveva uccisa. Questo fatto incredibile è come se avesse chiuso il cerchio, dove nulla  stato invano, niente è stato inutile o come qualcuno ha detto avventato. È come se la sua fedele telecamera avesse concluso il lavoro per lei.

Donna libera e sognatrice coraggiosa, come non amarla ancora Pippa Bacca.  

(Il film di Manetti si trova in streaming oppure su Sky, mentre ora fino al 23.05.2021 è tra le artiste della mostra ‘Io dico Io – I Say I’ alla Galleria Nazionale – Roma)

Senza titolo con polvere

Nell’anno complicato che tutti abbiamo vissuto una delle sofferenze che più mi ha colpita è stata la solitudine in cui sono morte molte persone e il dolore di chi non ha potuto salutarli o accompagnarli nel loro ultimo percorso. Questo senso di totale solitudine e abbandono, e la paura di finire dimenticati mi ha fatto venire in mente un’installazione di Gino Sabatini Odoardi, Senza Titolo con Polvere. Opera in cui l’artista omaggia con dignità  le tombe  di alcuni uomini illustri ‘per strappare più cose possibile all’oblio’.

Ho sempre avuto una certa emozione nell’andare a camminare nelle parti storiche dei cimiteri, ci sono lapidi che raccontano la vita o il motivo della morte di persone lì sepolte. Il mio pensiero e il mio moto dell’animo  è sempre stato quello dell’omaggio  a persone mai conosciute e lì in qualche modo dimenticate.

‘ La morte è inaccettabile e tutto il mio lavoro parte da lì, è come se la morte fosse un difetto fondamentale del mondo. Non puoi segnarla sull’agenda. Ti guardi intorno, la polvere si deposita e ti riguardi intorno con un’inquietudine infinita’.

Gino Sabatini Odoardi

Vive e lavora a Pescara dove si è diplomato al Liceo Artistico e successivamente studia Pittura all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila . Maestri essenziali nel suo lavoro sono stati, Fabio Mauri (che frequentò dal  1995 al 2002 prima come studente poi come performer ed in seguito suo assistente),  Jannis Kounellis (di cui è stato  allievo in un seminario-laboratorio nel 1998 curato da Sergio Risaliti)  e anche Carmelo Bene, che ebbe la fortuna di conoscere a l’Aquila.

Nei suoi lavori esiste una serialità in cui trasforma gli oggetti attraverso la termoformatura.  Si tratta di una tecnica artistica da lui affinata già dai primi anni ’90,  dove inserendo i suoi lavori in processo industriale, li fa avvolgere con il polistirene, ingabbiandoli, praticamente ibernandoli. Per fare questo la fabbrica deve fermare la sua produzione ordinaria e lavorare esclusivamente sui materiali portati dall’artista. Gino Sabatini Odoardi così attraverso il riscaldamento-sottovuoto-raffreddamento, blocca gli oggetti  nel momento preciso della loro ri-creazione donandogli l’eternità in un ‘meccanismo dal fascino irreversibile’.

Oltre alla tecnica anche il colore ha una certa serialità, utilizza sempre il bianco come elemento di sottrazione, o il nero ‘che promuove la notte e non piange’ spezzato dal rosso che diventa interruzione alla consuetudine, una frattura alla pura armonia che utilizzata in modo regolare dona una sicurezza  quasi consolatoria. Il binomio sacro-profano fa parte del concetto tematico e artistico di Gino Sabatini Odoardi, così come morte-vita per riuscire a rompere gli equilibri su dogmi dove in fondo risposte non ci sono. 

Senza Titolo con Polvere è un’istallazione dedicata alla città di Napoli da lui realizzata al Pan nel 2015 in occasione della mostra  Pieghe e Polvere, curata da Maria Savarese. L’artista individua un luogo nel cimitero Monumentale di Poggioreale chiamato  ‘Quadrilatero degli illustri’ e facendo una sua ricerca individua 16 uomini tra scultori, poeti, musicisti e umanisti (come Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Raffaele Viviani, Gaetano Donizetti…), per andare a rendergli omaggio. Come nell’Antologia realista di Spoon River attraversa un viaggio nelle storie di questi personaggi.

Nel momento in cui arriva sul posto si trova davanti uno scenario di totale abbandono, dove arroganza e squallore regnano su quello che invece doveva essere rispetto e amore. Con discrezione e riguardo cerca i nomi dei suoi uomini sulle epigrafi ormai in totale degrado e immerse in una vasta vegetazione. Così Gino Sabatini Odoardi con dei  fazzoletti bianchi di cotone e nominativi,  inizia a togliere  polvere. In un movimento  di sana e religiosa umanità, l’artista sembra quasi  asciugare le lacrime di quei poveri illustri, desolati dall’incuria e dal non ricordo. Carezze concrete che ‘sporcheranno di senso’ quei fazzoletti per diventare altro; una memoria per mettere in armonia l’uomo e l’universo. Andando forse alla ricerca di quel sublime che per Edmund Burke si fonda sul dolore, Gino Sabatini Odoardi in un gesto evocativo, mette in moto un rituale che poi diventa creazione.  I fazzoletti con sopra le tracce di polvere vengono installati su fogli di polistirene e inglobati nei disegni in grafite di bicchieri (altro segno distintivo del suo lavoro), circondando così l’ineluttabile finitezza dell’essere umano contrapposta all’infinito che la circonda. La memoria che rende eterna la nostra esistenza.

Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda. Ugo Foscolo

Serena Achilli